mercoledì 30 aprile 2014

Cose da fare prima che arrivi Piccolé



Cose da fare prima che arrivi Piccolé. Finora mi ero concentrata su idee pratiche e di buon senso sulla casa, il lavoro e la lontananza del papà. Poi ci siamo seduti a tavolino con A. e abbiamo pensato che potevamo fare molto di meglio. Ecco la nostra nuova to do list:

1 - Ronfare come ghiri tutto il weekend (d'accordo C e A)
2 - Andare al cinema più spesso possibile (C)
3 - Mangiare fuori tantissimo (A)
4 - Darci al tango (C, A rilancia con il rock'n'roll acrobatico facendo naufragare il progetto)
5 - Partecipare alla corsa dei tori a Pamplona (A)
6 - Provare il bunjee jumping (C, A mette il veto)
7 - Viaggiare in Iran o Bolivia (A, C mette il veto)
8 - Improvvisare, cambiare programma, sbagliare strada, fare tardi (C)
9 - Seguire tutte le tappe dei Pearl Jam in Italia e magari anche in Europa (A)
10 - Imparare a cucinare etiope o indiano, comunque speziatissimo (C) 
10bis - Vedere gli All Blacks in Nuova Zelanda (A e C, il budget mette il veto)

Di cosa ci siamo scordati?

lunedì 28 aprile 2014

Abbasso Ikea - meno male che c'è lei


E così mi ritroverò tra le panze e le carrozzine in coda per un tavolo Jokkmokk o uno scaffale Expedit. Non l'avrei mai detto perché ogni volta che vado all'Ikea sono convinta che sarà l'ultima.
E invece rieccoci a studiare strategie: arriviamo a mezz'ora dalla chiusura, entriamo dall'uscita, uno sguardo al discount dei mobili fallati e poi subito ai computer per trovare in quali scaffali sono i nostri obiettivi e via alle casse. "Niente cagatine inutili, stavolta", è la parola d'ordine.

A. era convinto più di me di averla scampata definitivamente, perché le ultime volte sono andata o con le mie amiche (anche il mio iper-disponibilissimo papà, al terzo colpo della strega, ha iniziato a evitarmi quando sente la parola che inizia con la I.) o da sola, persino con la Smart di mamma, dove sono riuscita a incastrare una grossa cassettiera, o in autobus, vedi Con ogni mezzo (pubblico).

Poi però, nell'estremo tentativo di restare nella casina di nonna dove non paghiamo mutui o affitti e di incastrarci pure Piccolé, abbiamo scoperto che i tavoli-consolle non Ikea sono brutti o costano mille euro (mille euro? È più di quanto prendo in un mese quando va male). 
Quindi ci siamo rassegnati a tornare nel cubo blu quando abbiamo scoperto che - TARATADAN! -   ci ha traditi di nuovo. Lo scaffale a quadratoni perfetto come separé per tentare di ricavare una camera in più dal soggiorno è uscito di produzione e accaparrarsi uno degli ultimi pezzi disponibili è diventata una gara contro il tempo. 

Non è la prima volta che l'Ikea ci fa scherzetti di questo tipo. Già abbiamo il divano con la fodera bucata da anni perché qualche designer svedese ha deciso di ridisegnare la forma dei cuscini in modo che i nuovi modelli siano identici a quelli precedenti, ma i loro rivestimenti assolutamente non adattabili. C'è un graffio sul bracciolo? O cambi tutto il divano o te lo tieni #odioikea. Così come è variato leggermente il colore betulla della nostra libreria: se abbiamo bisogno di un ripiano in più, o accettiamo che non sia uguale agli altri o ricompriamo tutti gli scaffali.  

E vogliamo parlare di come mai ogni volta compriamo bicchieri che si autodistruggono, set di sei forbici di cui non ne taglia nessuna, grattugie omicide e bellissimi tovaglioli di carta vetrata? Secondo me diffondono droga con l'impianto di areazione, non c'è altra spiegazione.

- Dai, un ultimo controllo su Internet, magari la sfanghiamo in extremis. Cerca: librerie separé. 
- Orribile Sgorbio Fa schifo Che brutta! Brutta. 
- Torna un attimo alla pagine precedente. Questa mi piace! Quanto costa? 
- 3.750 euro. 
- Ikea, stiamo arrivando!

giovedì 24 aprile 2014

Come Calamity Jane (W le mamme eretiche)


Io non pensavo nemmeno che Calamity Jane, la cowboy, fosse davvero esistita. Che avesse avuto una bambina, poi, non l'avrei mai e poi mai immaginato. Se ce l'ha fatta lei, posso farcela anch'io, ho pensato mentre mi aggiravo, il giorno dopo aver scoperto di essere incinta, in una delle mie librerie preferite (quella di via del Governo Vecchio). È così che le lettere di Calamity alla figlia sono diventate il primo libro che ho letto su maternità e gravidanza (edizioni Mimesis) .

Ora, non direi che la donna di frontiera è un modello di mamma perfetta, tutt'altro visto che affida la piccola (la cui nascita non risulta in nessuna cronaca o documento ufficiale) a una famiglia meno turbolenta della sua e riparte per nuove avventure, ma continua per tutta la vita a scriverle e a pensare a lei mentre guerreggia con i pellerossa, si accapiglia nei saloon, trova nuovi amici e nuovi amori, e adotta tutti i ragazzetti e le ragazzette indifese che trova sul suo cammino.

La scelta di questo libro come prima lettura della gravidanza mi è sembrata all'inizio una nuova prova di quanto sarò una madre degenere, ma poi è stato troppo divertente e anche di ispirazione contro il rischio di impantanarmi in lagne su quanto sia difficile fare un figlio oggi con un lavoro precario, un marito lontano ecc. ecc. e su quanto sia complicato conciliarlo con la mia vita. Ho ricordato che ci sono professioni molto più anti-bimbo della mia (la scorta alle carovane nel Far west, per esempio) e che possono essere fichissime.

Altri libri un po' eretici che mi hanno consigliato le mie amiche in tema panze e dintorni sono 
- Bebé a costo zero di Giorgia Cozza (Oscar Mondadori), su cosa non comprare per crescere al meglio i propri pargoli,
- Il bello del pancione di Kaz Cooke (Piemme), per ridere su cliché e luoghi comuni sulla gravidanza, e
- La gioia del parto di Ina May Gaskin (Bonomi editore), che tenta di scardinare il terrore nero a cui viene associato il giorno X con storie di donne a cui è andato bene, più che bene, fino a quelle che hanno avuto veri e propri orgasmi mentre partorivano. 

Magari aiuterà ad avere un po' meno paura anche me, che ci metterei la firma subito a evitarmi tutto l'ambaradan con un bel cesareo. Too posh to push, dicono a Londra, che sarebbe "troppo fighetta per spingere", ma in inglese suona molto meglio.

martedì 22 aprile 2014

Pasqua nel Granducato


Alla fine è stato bello anche così. Depistati da una guida turistica risalente al Pleistocene non abbiamo fatto in tempo a vedere lo Scoppio del carro, la regina delle tradizioni pasquali fiorentine. Sapevamo che sarebbe cominciata verso mezzogiorno così siamo stati sorpresi, poco dopo le 11, da una specie di bombardamento che proveniva dal Duomo con un'esplosione dopo l'altra e fumi densi che salivano dalla piazza. 

La responsabile era una colomba meccanica che partendo da centro della chiesa andava ad accendere una serie di giochi pirotecnici che esplodevano intorno a un carro. Ci siamo avvicinati correndo, ma c'era così tanta gente che all'inizio non siamo riusciti a vedere niente. Poi sono arrivati musicisti e sbandieratori, armate con pennacchi colorati, uomini, donne e bambini in vestiti d'epoca. Sembrava che tutta la città si fosse data appuntamento in piazza.

Una signora ci ha spiegato che vengono a controllare che l'accensione riesca, perché è un potente talismano per il raccolto dei campi e non solo. Nel 900 solo una volta il meccanismo si è inceppato, nel 1966, proprio l'anno dell'alluvione. 
Quest'anno possiamo stare tranquilli, è andato tutto bene. Abbiamo festeggiato con un mini-uovo di Pasqua di Nemo (quelli regolamentari A. me li ha fatti lasciare a casa). Non capisco proprio perché dicono che io somigli a Dori...



Poi abbiamo scoperto un nuovo posto per mangiare, l'Antico vinaio di via de' Neri. La coda per un panino era quasi più lunga di quella per gli Uffizi (e i superpoteri della Panza stavolta non sono bastati a farcela saltare), ma quando abbiamo visto le schiacciate di pane appena sfornato farcite di salumi profumati, formaggi e verdure abbiamo capito che ne valeva la pena. Sono state un degnissimo pranzo di Pasqua.



Prima di ripartire abbiamo fatto in tempo a fare una passeggiata oltre l'Arno fino al giardino di Boboli e qui io sono crollata per una mega-pennica fino quasi a perdere il treno.


Firenze a 33 giri ovvero Panze e vinili


Venerdì ore 18.30
C: Vacanza! Che facciamo, partiamo?
A: E dove vorresti andare?
Mezz'ora dopo avevamo due biglietti per Firenze per sabato mattina. 
E così siamo partiti all'ultimo secondo, prima che la panza diventasse troppo grande, per l'ultima Pasqua child free. 

Anche così, però, Piccolé ha avuto un ruolo determinante nel finesettimana. Come una formula magica, "aspettiamo un bambino", ci ha aperto tutte le porte. Quella degli Uffizi, per esempio, dove la coda chilometrica si è fatta da parte al nostro passaggio, per farci entrare subito nelle sale. E ci ha conquistato la simpatia degli osti (e la solidarietà per la mia deriva semi-analcolica) e dei venditori di dischi, tra i cui scaffali abbiamo passato quasi altrettanto tempo che davanti ai quadri di Botticelli. 

Siamo incappati infatti nel Record store day, la giornata dell'orgoglio del disco, e A non avrebbe mai rinunciato a battere il panorama dei negozi indipendenti del Granducato. Ne è uscito soddisfatto solo una volta conquistato un bottino di otto vinili (io conoscevo gli autori di appena un paio) e una maglietta. Alla fine è stato un modo divertente di evitare le orde dei turisti e immergerci in un pezzo di vita della città tra ragazzotti alla moda con i cuffioni nelle orecchie, pensionati appassionati di opera, ragazze solitarie, hipster in chiave toscana e nostalgici del rock anni 70.

Alla sera abbiamo aspettato un tramonto nuvoloso a piazzale Michelangelo per poi tuffarci in trattoria per rendere onore a crostini, ribollita e fiorentina.


Due indirizzi da ricordare:
Il caffè futurista Le Giubbe Rosse che ci ha salvati dalla pioggia battente con una cioccolata d'altri tempi (non tanto densa quanto nera e saporita) e la conversazione in dialetto dei vicini di tavolo, di professione bibitari dello stadio e ultrà renziani. Forse è solo a Roma che nei caffè storici ormai ci trovi solo americani e giapponesi. In piazza della Repubblica.

La trattoria I due G, dietro la stazione. Un posto gustoso e tradizionale, amatissimo dai ferrovieri (che sono un po' l'equivalente cittadino dei camionisti). In via Cennini 6.






venerdì 18 aprile 2014

Del diritto a un nome vergine



Ho già parlato della mia famiglia oversize, caciarona e onnipresente. 
Per "famiglia" non intendo solo mamma, papà e sorella ma un esercito di:
- Una nonna
- Dieci zii
- Nove cugini più vari compagni di cugini
- Tre nipoti (più uno in arrivo)
- Cinque gatti
- Due cani
- Un criceto
- E sono sicura che ho dimenticato qualcuno
che si riunisce quasi al gran completo per festeggiare tutto il festeggiabile (basta pensare a 27 compleanni per avere una portata dell'agenda) ed è in attesa di Piccolé e dell'altro futuro Dangefò.

Da ragazzina (lo so, oggi si dice "teen" ma a me regazzì o ragazzina piace di più), a un certo punto, trovavo "ingombrante" tutta la rete dei parenti: rendere conto a non due ma 10-12 adulti se facevo sega a scuola - marinavo per i non romani - o sentire da 6-7 persone perché dovevo studiare medicina. Poi mi sono convinta che è più facile affrontare quello che ti succede se non sei solo, ma parte di una "saga familiare" siculo-romana in pieno svolgimento. E comunque non mi sono mai iscritta a medicina.


Insomma, la questione era ormai data per risolta fino all'altra sera, quando mi sono accorta di quanto la superfamiglia avrebbe avuto un ruolo anche nella vita della Pulce. Ero con un'amica, figlia unica di una famiglia molto meno sovrabbondante della mia, e parlavamo di nomi. Mi ha detto che, per lei, un bambino aveva diritto un nome nuovo, vergine, leggero, mai usato prima da nessuno (almeno nella vita dei genitori). Un libro bianco su cui avrebbe potuto scrivere tutto quello che avesse voluto. E mi ha raccontato di un litigio con il suo ex, che avrebbe voluto dare a un loro futuro figlio il nome del suo amatissimo papà morto. Secondo lei era ingiusto, quasi una violenza che costringeva il piccoletto in tutta una serie di aspettative fin da quando era appena venuto al mondo.


Mi ha colpito perché io amo, invece, nomi pieni di storia (non solo personale) e di sentimenti. Non dico il nome della nonna, ma comunque quello di qualcuno che ho amato o ammirato. Mi sembra che, poi, l'ultimo nato lo riempirà con la sua vita e che il fatto di portare un nome già nel cuore dei genitori prima che lui nascesse sia un elemento di forza, e non un vincolo. Penso che comunque, nel diventare tutto quello che vorrà diventare, Piccolé dovrà fare i conti con la storia, familiare e con la S maiuscola. Che differenza può fare un nome "vergine"?

ps Proprio ieri è morto Gabriel Garcia Marquez, che con il suo Aureliano Buendia ne avrebbe avuto da dire sull'argomento!

martedì 15 aprile 2014

Nella terra di mezzo


Questa è una dichiarazione d'amore per la mia strada. Dici "abito a Roma" e tutti si immaginano una camera con vista sul Colosseo (magari con Scajola per dirimpettaio) o minimo minimo una romantica casetta color pastello a Trastevere. Io vivo un po' più in là, non ancora in una periferia "dura e pura" ma neanche tra viali alberati e palazzine liberty.

Quando hanno inventato la versione capitolina di Risiko (il geniale Rosiko) hanno lasciato un buco nero in questa zona  tra il "Non solo centro" dei vari Prati, Vaticano, Villa borghese e i "Territori del Nord-Ovest" che si estendono dalla Balduina fino a Casal del Marmo e la Giustiniana.
Ecco, qui siamo nel regno dei palazzoni anni 60 che si affacciano su altri palazzoni anni 60 (anche se ancora, a saper dove guardare, ogni tanto spunta tra le antenne paraboliche uno spicchio di Cupolone).

I turisti da queste parti ci finiscono solo se si perdono mentre cercano i Musei Vaticani, ma abbiamo anche noi le nostre attrattive:

1 Il meccanico egiziano Abramo, che ti saluta con entusiasmo ogni volta che passi davanti alla sua officina anche se non hai macchina né motorino (compensa proponendoti ad ogni festa comandata di assoldare un soprano o una ballerina del ventre, interpretati sempre dalla sua nipote disoccupata);
2 Le fornaie chiacchierone, capaci di vendere quintali di pizza bianca anche alla più anoressica delle modelle;
3 La palestra coatta con luci al neon e musica tunza tunza che cerca di darsi un tono con i corsi di pilates. "Sugli ischi! Ho detto che ve dovete da poggià sugli ischi!", risuona per tutta la sala;
4 Il porno-pizzicagnolo (droghiere, per chi non mastica la lingua), io ancora ho timore ad avventurarmici da sola. Ma tra battutacce e apprezzamenti pesanti è una garanzia di successo per gli amici che vengono da fuori: "Molto pittoresco";
5 Le sorelle-bruciacaffé, si suppone debbano essere delle bariste ma, vista la scarsa attitudine all'espresso, immaginiamo che sia una copertura. Il mistero è perché continuiamo ad andarci;
6 Il fruttivendolo mummificato. C'è chi è pronto a giurare che sia in quel negozio fin dalla prima guerra mondiale, è "antico" più che vecchio. A un certo punto aveva anche venduto, ma poi non sapeva che fare a casa senza la sua bottega e se l'è ricomprata. Da lì combatte tremolante contro una decina di concorrenti del Bangladesh che lo hanno circondato, ma lui non si arrende;
7 La pizza al taglio più cara di Roma. La strategia è andarci che sei già strasazio e ordinare "giusto un assaggio". Se riesci a sopravvivere al conto, è una vera goduria.

* Foto credit: Tic edizioni

venerdì 11 aprile 2014

Tutta colpa di un gelato


Sta finendo la sedicesima settimana, la mia pancia è ancora camuffabile di giorno, ma sorge alla sera come una piccola luna piena. Si è spenta intanto la fame perenne che nelle prime settimane mi portava a mangiare in continuazione (era così forte che mi svegliavo alle quattro di notte in cerca di cibo, avevo preso l'abitudine di addormentarmi con una banana sul comodino). 

In tanti mi chiedono se ho "le voglie". E' difficile rispondere, perché mi sembra di avercele sempre avute! Di solito, però, non posso assecondare troppo la mia gola o esploderei di ciccia. Adesso invece… diciamo che ho una buona scusa. Ma sono meno golosa del solito, solo una cosa la mangerei sempre: il gelato. Non è una grande novità, insieme alla pizza bianca e alla cioccolata è una mia passione, e adesso mi andrebbe proprio sempre. Chissà se sono queste le famose voglie.

La fornaia (e spacciatrice di pizza bianca) mi ha raccontato che lei è nata proprio per colpa di un gelato. Mi ha detto l'altro giorno, con il suo leggero accento straniero:
- Mia mamma aveva sempre voglia di gelato, ma non era possibile trovarlo. Ecco che finalmente si avvicina il primo maggio, che da noi era una festa importantissima. E fin dal giorno prima c'era la fiera con le bancarelle e anche il gelataio. I miei si sono messi in coda, c'era tantissima gente e a un certo punto il gelato stava per finire così tutti hanno iniziato a spingere e sgomitare. Quella notte mamma è stata male, e io sono nata settimina. Hai capito, per un gelato! -
- Vicky, ma dov'è che sei nata? -, le chiedo.
- In Romania - e aggiunge subito dopo, con evidente orgoglio - ma non ho un goccio di sangue rumeno! Sono metà russa e metà ungherese -. Strano come un po' di razzismo spunta anche quando proprio non te lo aspetti. 

martedì 8 aprile 2014

Vietare Downton Abbey in gravidanza


ALLARME ROSSO SPOILER (A MENO CHE NON SIATE INCINTE, IN QUEL CASO MI RINGRAZIERETE)

Proposta di legge per vietare la visione di Downton Abbey in gravidanza:

Considerata la sensibilità e la predisposizione al pianto delle future mamme nonché la serie di divieti di cui sono fatte oggetto da chiunque passi loro vicino (da non mangiare pasta con le vongole fino al non correre o saltare) si ritiene opportuno e necessario, da parte della sottoscritta, introdurre una nuova norma di carattere assoluto per il benessere fisico e mentale della popolazione. Pertanto si dispone che:

E' fatto divieto per i nove mesi della gravidanza di guardare, in tutto o in parte, la serie televisiva inglese Downton Abbey, il cui autore Julian Fellowes vanta evidentemente una diretta discendenza dal re di Giudea Erode. L'imperativo è ancora più stringente per chi non avesse mai visto in precedenza le avventure di casa Grantham, perché creano dipendenza (scappate finché siete in tempo).

Parti e gravidanze non mancano nella tenuta aristocratica dello Yorkshire a inizio 900, sia ai piani nobili che a quelli della servitù, ma i bambini sono - sempre e comunque - portatori di sventure. Nelle prime quattro serie nascono quattro piccoletti. Più c'è un aborto, dovuto a una semplice scivolata della mamma nell'uscire dalla vasca da bagno (roba da non lavarsi più fino alla fine della gravidanza).

In solo un caso, alla nascita del bambino sono vivi entrambi i genitori, che spesso hanno il vizio di morire proprio quel giorno lì, di parto o in incidenti stradali (è la sorte che capita ai due personaggi più simpatici della serie). E anche l'unico non-orfano non ha vita facile, abbandonato dal padre (che morirà comunque pochi mesi dopo) e con la madre costretta a prostituirsi. Ricchi o poveri, l'abbandono è una situazione comune per i neonati di Downton,  sempre coinvolti in terribili disgrazie (arrivo dei nazisti incluso) - forse Fellowes ha visto troppi cartoni animati, vedi 40 settimane (e mezzo): La strage delle mamme Disney

Per evitare tout court la nascita di nuove creature, un'altra passione dell'autore è l'annullamento dei matrimoni. Per sposarsi una coppia tipo deve passare almeno da un tira e molla di dieci puntate, un'accusa di omicidio o una fuga in Irlanda, ma è molto più facile che le nozze vadano a monte per il decesso della sposa a pochi giorni dal "sì" o per il suo abbandono all'altare nel momento fatidico.

Per il bene comune si dispone inoltre l'adozione di un bollino specifico con cui contrassegnare Downton e tutti i film, libri o programmi non adatti alle "donne incinte non accompagnate da un barattolo di nutella".




lunedì 7 aprile 2014

Vecchi e nuovi amori londinesi


Già di ritorno da Londra, a volte i finesettimana sono rapidi come sogni. Sono in treno verso l'aeroporto, accanto a me una bionda ha leggins argento-metallizzato e piange disperata. Forse glieli hanno infilati a forza (piangerei anch'io).

Le ragazze stanno bene, le ho lasciate chioccianti e ridanciane sulla metro, io sono la prima a ripartire. Hanno fatto alla Pulce il suo primo regalo: una tutina a righe bianche e nere (come la mia maglietta preferita) con scritto davanti "FREEDOM after nine months inside" e, dietro, Piccolé. Mi sono commossa. 

Eravamo al mercato di Brick Lane (adoro) e ho preso anche una tutina con uno stencil di Banksy... E due magliettone per me. Su una c'è una balena, tanto per prepararsi a diventare Moby Dick. 




Ecco qualche vecchio amore e qualche nuova scoperta londinese.

VECCHI AMORI
Neal's Yard - Piazzetta coloratissima dietro Covent garden. C'è il parrucchiere dei miei sogni Hair by fairy e un caffé vegetariano che fa muffin salati buonissimi. Metro Covent garden o Leicester square.

Trobadour - Coffee house dietro casa di M. piena di carattere e teiere. Se non piove, si può stare nel giardino segreto sul retro tra rampicanti e case per uccelli. Hamburger da leccarsi le dita (anche di agnello). Così per dire, ci ha suonato Jimi Hendrix quando viveva a Londra (e pure Bob Dylan) 
263–267 Old Brompton Road in Earls Court.

Borough market - Sotto il London bridge un mercato che sembra uscito da un libro di Dickens. Tra i fumi e i rumori si trovino delle meraviglie gastronomiche dolci e salate sia british che di tutto il mondo. Southwark street.

NUOVE SCOPERTE
Brompton cemetary - un parco pieno di antiche tombe e di corvi nerissimi, gotico e spaventoso quando il cielo si scurisce,  zeppo di bambini al primo raggio di sole. Metro Earls Court.

Wandswoth bridge - da una parte i grattaceli, dall'altra il Lungotamigi diventa una strada di campagna dove si affacciano un circolo di canottaggio dopo l'altro. Noi ci siamo unite alla folla che guardava il fiume e beveva Pimms, un cocktail leggero che qui va per la maggiore a base di gin, chinino e erbe aromatiche.

Brick lane - C'è il mercato, colorato, vintage e multietnico, e c'è la gente che lo popola dagli hippy alle famiglie passando per qualche punk fuori tempo massimo e qualche turista. Molto molto londinese e pieno di gusto e sapori. Noi abbiamo comprato di tutto dai vestitini ai cupcake. Metro Aldegate East. Prima avevamo fatto un brunch delizioso da Franzé and Evens, alla fine della via (toast, uova in camicia, salmone, spinaci, aranciata e cioccolata calda, anche Piccolé ha apprezzato), 101 Redchurch St.


Fuga a London con pancione


Lo confesso: a me il centro-centro delle città piace. Lo so, è turistico e commerciale, ma ci sarà un motivo se tutti vogliono vedere il Colosseo mentre a Malagrotta non ci va nessuno! 
E mi piace tornare nei posti che conosco, vedere come cambiano loro e come cambio io.

Ora per esempio, tutto sembra così diverso con il mio "segreto". Mi guida un olfatto forte come non mai, ha riconosciuto subito l'odore della metropolitana, grasso e denso, diversissimo da quello di Roma, e poi il profumo di uova e bacon che esce dai pub al mattino e i fiori un po' passati dei chioschi.

Sono felice di scoprire nuovi angoli inesplorati, sapere che c'è di nuovo in città, ma poi una sbirciatina ai Covent gardens la voglio sempre dare. Ricordo le prime volte che sono venuta, a 15-16 anni, innamorata del senso libertà che Londra mi trasmetteva. Una notte, con Vale, come al solito non ci avevano fatte entrare in nessun locale, e mentre chiacchierano sedute sul marciapiede, abbiamo visto passare (realtà o illusione collettiva) il nostro cantante preferito del momento. Era con due ragazze bellissime, sono entrati in un club a una festa privata.

A Moni invece i posti turistici fanno venire le bolle. Eccomi quindi svicolare la mattina presto, mentre le ragazze ancora dormono, per fare un giro nelle vie del centro quando le strade si risvegliano e aprono i primi negozi. Poi ci sarà tempo per nuove esplorazioni insieme.

ps Si sono accorte subito della panza. 'Ma sei incinta?' è la prima cosa che mi hanno detto quando sono arrivata a casa, nonostante il maxivestito anticiccia. Niente da fare, sono il solito agente segreto. 


In volo per Londra con Cora



Mi piace partire da sola, mi fa sentire libera e indipendente. Questa volta ancora di più perché sotto al vestito ho un "segreto" che, in questo aeroporto, è solo e soltanto mio. Volo a Londra per condividerlo con le mie amiche dell'università, M. che lavora nella City e M. che parte ora da Milano.


Stavo per scrivere che è il primissimo viaggio in aereo di Piccolé, ma non è vero. La macchina potentissima e fuori controllo che la sta costruendo cellula dopo cellula era già in moto al ritorno da Quito, con l'aereo fino a Bogotà e poi quello per Francoforte e per Roma. Che minuscola giramondo! -8 mesi di vita e già un volo intercontinentale. Mi sa che sarà difficile tenerla a lungo con i piedi per terra.


E se invece non le piacesse viaggiare? Se si stufasse presto di questi genitori sempre in movimento sulla Roma-Milano e molto più lontano? Sarebbe la volta che anche noi ci daremmo una calmata o diventerebbe una lotta dopo l'altra? Non so immaginare come sarà. Un po' vorrei che tutto arrivasse adesso, un po' mi piace galleggiare in questa attesa densa di emozioni con il mio "segreto".

Ps Ho volato seduta vicino a Cora, 3 mesi. È stata fantastica! Un po' di lagna al decollo poi ha dormito tutto il tempo. Speriamosperiamosperiamo. 

venerdì 4 aprile 2014

Non la assumeresti mai


Scenetta esilarante alla Camera dei deputati, questo pomeriggio.

Parlamentare A a parlamentare B: Prendi questa bella ragazza (che sarei io, ndr) e prendi il contratto a termine...
C.: Io lo prenderei anche, sono cococo e il contratto a termine sarebbe un bel passo avanti!
Parlamentare A, senza neanche guardarmi: Metti che lei sia incinta, le rinnoveresti il contratto alla scadenza? Certo che no!

Ora, ma prima di prendermi come esempio di "povera sfigata incinta e precaria" nella tua enfatica discussione sul jobs act vuoi darla un'occhiata al mio girovita per guardare se, per caso, non lo sono davvero, incinta? Mi veniva troppo da ridere, ma mi sono morsa la lingua per risparmiargli la figuraccia. Però mi sono allontanata con i piedi volutamente a papera e le mani sui reni.

Ps Sto andando dal ginecologo per la seconda volta dall'inizio della gravidanza, stavolta dovrebbe venire anche A. Sono molto emozionata all'idea di presentargli finalmente la nostra bambina. Non l'ha mai vista "dal vivo".

* Foto credit: Camera dei Deputati

martedì 1 aprile 2014

E il Grande Capo disse



Altro che 40 settimane e mezzo. Ho ceduto e ho detto che sono incinta a lavoro ora che sono a metà del quarto mese. E meno male che l'ho fatto perché 
Lo sapevano già.

Ecco la scena. 

Arrivo nella stanzetta dei boss per sapere gli orari di domani.
Piccolo Capo: Ma tu puoi correre di qua e di là?
C.: Certo, perché no?

Piccolo Capo: Ma ti possiamo sbattere come una trottola in giro per tutta Roma?
C.: Si, anche se...
Mi avvicino al Grande Capo e abbasso la voce; 
C.: Sono incinta...
Piccolo Capo: Lo sapevo! Lo sapevo! (Al Grande Capo) Te lo avevo detto.
Grande Capo: E io ero geloso che lo avevi detto a lui e non a me.
C.: Ma io non lo avevo detto proprio a nessuno. Si vede così tanto? 
Piccolo Capo: Te l'ho letto nello sguardo.

Nello sguardo? Non l'ha capito per le supertette o l'obesità incipiente! Come si fa a tradirsi sulla gravidanza con lo sguardo? Niente da fare, il mio futuro da agente segreto è andato definitivamente a farsi benedire.
La conversazione è andata avanti per un po' con io che giuravo e spergiuravo che stavo benissimo e potevo lavorare come e più di prima. E loro che scherzavano sui rischi di avere una piccola Dangefoina a spasso per il pianeta.

Ora forse alla fine non mi assumeranno mai e dovrò rinunciare ai miei sogni di gloria, ma per adesso mi sento leggera leggera. E per festeggiare il coming out... Gelatone cioccolato, fragola e pistacchio Dei Gracchi!


ps A ripensarci negli ultimo giorni il Grande Capo mi trattava un po' male Niente di ché, ma molto peggio del solito. E così ecco spiegato l'arcano: era solo "geloso".