venerdì 18 aprile 2014

Del diritto a un nome vergine



Ho già parlato della mia famiglia oversize, caciarona e onnipresente. 
Per "famiglia" non intendo solo mamma, papà e sorella ma un esercito di:
- Una nonna
- Dieci zii
- Nove cugini più vari compagni di cugini
- Tre nipoti (più uno in arrivo)
- Cinque gatti
- Due cani
- Un criceto
- E sono sicura che ho dimenticato qualcuno
che si riunisce quasi al gran completo per festeggiare tutto il festeggiabile (basta pensare a 27 compleanni per avere una portata dell'agenda) ed è in attesa di Piccolé e dell'altro futuro Dangefò.

Da ragazzina (lo so, oggi si dice "teen" ma a me regazzì o ragazzina piace di più), a un certo punto, trovavo "ingombrante" tutta la rete dei parenti: rendere conto a non due ma 10-12 adulti se facevo sega a scuola - marinavo per i non romani - o sentire da 6-7 persone perché dovevo studiare medicina. Poi mi sono convinta che è più facile affrontare quello che ti succede se non sei solo, ma parte di una "saga familiare" siculo-romana in pieno svolgimento. E comunque non mi sono mai iscritta a medicina.


Insomma, la questione era ormai data per risolta fino all'altra sera, quando mi sono accorta di quanto la superfamiglia avrebbe avuto un ruolo anche nella vita della Pulce. Ero con un'amica, figlia unica di una famiglia molto meno sovrabbondante della mia, e parlavamo di nomi. Mi ha detto che, per lei, un bambino aveva diritto un nome nuovo, vergine, leggero, mai usato prima da nessuno (almeno nella vita dei genitori). Un libro bianco su cui avrebbe potuto scrivere tutto quello che avesse voluto. E mi ha raccontato di un litigio con il suo ex, che avrebbe voluto dare a un loro futuro figlio il nome del suo amatissimo papà morto. Secondo lei era ingiusto, quasi una violenza che costringeva il piccoletto in tutta una serie di aspettative fin da quando era appena venuto al mondo.


Mi ha colpito perché io amo, invece, nomi pieni di storia (non solo personale) e di sentimenti. Non dico il nome della nonna, ma comunque quello di qualcuno che ho amato o ammirato. Mi sembra che, poi, l'ultimo nato lo riempirà con la sua vita e che il fatto di portare un nome già nel cuore dei genitori prima che lui nascesse sia un elemento di forza, e non un vincolo. Penso che comunque, nel diventare tutto quello che vorrà diventare, Piccolé dovrà fare i conti con la storia, familiare e con la S maiuscola. Che differenza può fare un nome "vergine"?

ps Proprio ieri è morto Gabriel Garcia Marquez, che con il suo Aureliano Buendia ne avrebbe avuto da dire sull'argomento!

4 commenti:

  1. Mia madre pensava come la tua amica... emmenomale! Altrimenti mi avrebbero chiamata Annamaria V (quinta!) anche se poi il nomignolo per tutte le Annamaria della famiglia era sempre il solito Anita.
    La scelta dei nomi delle mie figlie è andata diversamente. Alla prima ho dato il nome della mia bambola preferita (che per coincidenza è anche l'unione dei nomi delle sue nonne). Alla seconda, ho fatto una lista coi nomi preferiti da me, dal papà e dal fratello grande, li abbiamo messi in pezzettini di carta e la prima piccola ha fatto l'estrazione del nome vincente. Una lotteria sicura che ci ha coinvolti tutti :))

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao, Luciana (o dovrei dire Annamaria V, ahah). Che bella l'idea della "lotteria" dei nomi e mi piace anche l'ispirazione dalle tue bambole preferite, anche se ad applicarla ai miei pupazzi dovrei chiamare Piccolé "Pippo Gianni Agustinattila" e non mi sembra il caso. Complimenti per la fantasia! E grazie del consiglio

      Elimina
  2. Mi riconosco! Ma Agustinattila è bellissimo! Peccato sia da uomo :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ahahah! Non lo dire ad alta voce che Andrea poi ci crede. Non si sa mai dopo Hans Peter e Aristide, quali altre proposte potrebbe tirare fuori. La fortuna è che la sua fantasia malsana si scatena soprattutto con i nomi da maschi!

      Elimina

DITEMI SE CI SIETE PASSATI ANCHE VOI!